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  • Paola Crusiz

Le diete iperproteiche, pro e contro


Le diete iperproteiche si basano sull’osservazione che, limitando l’apporto di glucidi (carboidrati) nella dieta, il corpo tenderà a produrre meno insulina. Questo ormone aiuta il deposito di grasso ( effetto anabolizzante) e, se la secrezione è limitata, il corpo userà il grasso corporeo come fonte d’energia producendo dimagrimento.

In generale l’apporto proteico consigliato per una persona adulta è di 0,9 g/Kg peso corporeo , tale quantità permette di sostituire la quantità di proteine persa fisiologicamente.

Il regime iperproteico che è suggerito in queste diete ha lo scopo di mantenere e/o ripristinare tale equilibrio.

Fino a qui tutto sembra quadrare perfettamente ma, se si rinforza il dosaggio proteico, si rischia l’accumulo di sostanze di scarto come l’urea che, in condizioni ottimali, è eliminata con un meccanismo finemente regolato ma che si ferma nel momento in cui il 40% dell’energia deriva dalle proteine. L’elevata concentrazione di urea può alterare la salute dell’intestino poichè i microrganismi intestinali possono operare una fermentazione ammoniacale e, l’ammoniaca prodotta, ha un effetto irritativo. Inoltre l’eccesso di urea nel sudore determina pruriti ed irritazioni della cute.

Una dieta iperproteica mette a rischio il rene, il fegato, il cuore e il cervello.

Il sovraccarico proteico renale determina un’alterazione della filtrazione renale dei minerali e della ritenzione d’acqua, che potrebbe potenzialmente provocare uno stato di eccesso di sodio e potassio importanti per la regolazione della pressione sanguinea e per il buon funzionamento del cuore. L’eccesso proteico può anche determinare una perdita cospicua di calcio con le urine, incidendo in maniera negativa sulla salute delle ossa e aumentando il rischio di calcoli renali.

L’unica fonte di energia per il cervello ( e non solo) è il glucosio derivante dallo smaltellamento dei carboidrati e, l'organismo che si trova in carenza di glucosio, deve compensare attivando la via d’emergenza per la sopravvivenza cerebrale che porta alla produzione di molecole dette corpi chetonici. Queste molecole passano nelle urine e danneggiano i reni, portano a disidratazione, stanchezza muscolare e crampi, e persino ad aritmia cardiaca. Per ripristinare la condizione metabolica normale e recuperare le forze, dobbiamo perciò reintrodurre sali minerali e glucosio nella dieta.

Se l’apporto di carboidrati scende troppo il corpo utilizzerà le proteine endogene (del corpo) come fonte di energia alternativa intaccando le riserve proteiche (muscoli principalmente) portando a una perdita di massa magra piuttosto che di grasso corporeo. Non bisogna tralasciare nemmeno che nell’essere umano, come in tutti i viventi, esistono dei meccanismi di autoconservazione e, uno tra questi, è quello della conservazione dello stato energetico. Diminuendo eccessivamente le calorie introdotte con la dieta il corpo si adatta consumando meno energia con conseguente rallentamento o blocco del processo di dimagrimento.

Restrizioni alimentari e perdita di peso influiscono sul meccanismo fame-sazietà a livello cerebrale e, privandosi dei carboidrati nella dieta, si perde un sopressore naturale della fame. La maggior parte delle persone chiede di perdere peso con motivazioni estetiche, ma la riduzione del peso corporeo ha esclusivamente una valenza salutistica ed ha lo scopo di ridurre i rischi di sviluppare malattie correlate all’eccesso di peso corporeo e di aumentare l’aspettativa di vita, che è ridotta nelle persone con peso in eccesso. La riduzione del peso determina importanti conseguenze fisiche e psicologiche che prima si oppongono alla perdita di peso, limitandolo, e poi ne facilitano il recupero. Un programma per la riduzione del peso corporeo in condizioni fisiologiche, non dovrebbe mai demonizzare una componente nutrizionale ed esarcebarne un'altra anzi dovrebbe educare la mente delle persone ad accettare uno stile di vita più sano e adeguato alle proprie esigenze.

Dott.ssa Paola Crusiz


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